L’aveva accarezzata da lontano, due stagioni fa, a Treviso. Aveva agguantato la Finale, se l’era giocata contro Piacenza, ma la Coppa Italia gli era sfuggita via.
Due anni dopo, rieccola lì. Un’altra Final Four, un’altra Semifinale da ricordare e poi eccola, di nuovo, la Finale con Piacenza.
E questa volta ecco anche la Coppa Italia. Da alzare al cielo.
Stefano Lavarini stringe la Coppa Italia alla fine della battaglia. Un trofeo sognato, voluto e conquistato. “Ci contavo innanzitutto perché è giusto essere positivi costantemente, nonostante io sia uno che esprime più razionalità e tende a sorridere poco. E poi perché avevo la consapevolezza di avere dalla mia parte dei giocatori che avrebbero saputo essere grandi quando contava.
So che tra i miei guerrieri c’è della gente che sa fare la guerra alla grande. Questo non significa che per noi sia stato tutto facile, o che la vittoria sia stata una legittima conseguenza o che non abbiamo affrontato avversari forse anche più forti di noi, però siamo stati bravi”.
Sin qui una stagione altalenante. Che non aveva permesso alla Foppapedretti di presentarsi alla Final Four con i favori del pronostico. E poi invece… “E’ giusto tenere in considerazione quello che dice la classifica. Che dice evidentemente che non siamo una squadra che può tenere un passo di un certo tipo. Ma abbiamo dimostrato di saper fare bene nell’occasione speciale. Perché abbiamo qualità, e l’abbiamo saputa esprimere tutta insieme quando contava”.
Come si è arrivati alla formazione schierata in finale, con Durisic e Plak nel sestetto titolare a differenza delle sei schierate in semifinale? “Per la normale sensazione di dover dare continuità a come era finita in semifinale. Non dovevamo fermarci e ripartire con un’altra storia, ma fermarci e considerare l’evoluzione della due giorni della Final Four come una cosa a se stante. Quindi mi sembrava interessante l’idea di ripartire da quello. Perché in semifinale, con alcune soluzioni che ci avevano dato tantissimo in altre occasioni, le cose non erano andate benissimo all’inizio.
Però è stato gratificante aver giocato a Novara ed essere arrivati a Ravenna grazie a una formazione, aver giocato sabato e esserne venuti fuori grazie a tre formazioni e domenica aver vinto con un’altra.
Ciò che emerge da queste considerazioni è che queste ragazze hanno costruito una squadra, perché solo una squadra si intercambia in così poco tempo e con pochi patemi, poche preoccupazioni o protagonismi. Una squadra si mette solo a fare il bene di tutti gli altri e di se stessi in conseguenza”.
foto rubin/lvf