Quando in Italia è stata riscontrata la prima positività al Covid-19 ero in Brasile. Ogni giorno guardavo il telegiornale, seguivo le notizie susseguirsi sui social e osservavo la vita del mio paese cambiare progressivamente, mentre la mia procedeva nella più totale normalità. Di solito al venerdì sera guardo un programma su La7, “Popaganda Live”, e il senso tangibile di quello che stava succedendo in Italia l’ho percepito soprattutto così. Il palinsesto del programma di colpo era incentrato quasi esclusivamente sul quel tema e ricordo il primo collegamento con una ragazza di Codogno, quando la sua città era appena stata dichiarata “zona rossa”. La ascoltavo parlare e provavo a immedesimarmi nella sua situazione e mi sembrava una cosa incredibile, anche solo da immaginare, e i suoi interlocutori, che dallo studio interagivano con lei, lasciavano trasparire sensazioni molto simili alle mie, come se fosse una cosa che stava avvenendo sì nel nostro paese, ma che, dai, non avrebbe potuto colpire anche me. Detto fatto, la settimana dopo lo studio era vuoto e, a parte i principali protagonisti, il resto del pubblico era stato sostituito da cartonati, mentre la mia vita proseguiva ancora con i ritmi di sempre. Qualcuno ogni tanto mi chiedeva come fosse la situazione in Italia, ma con lo sguardo di chi vedeva questo virus come una cosa ancora più lontana di quanto la vedessi io, proprio come succedeva all’inizio, quando si parlava del diffondersi in Cina di una nuova malattia che stava mettendo in ginocchio una regione intera prima e un paese poi, ma tanto era dall’altra parte del mondo no? Resterà concentrata in quelle zone come è già successo in passato con altri virus, perché preoccuparsi troppo! Alla dichiarazione della Pandemia globale e del primo caso in Brasile però anche in quel paese, dall’oggi al domani, la situazione è cambiata e i miei amici sono passati dal beach volley della domenica a Copacabana ad aver paura di una cena al ristorante nell’arco della stessa giornata. Seguendo le notizie sembrava ormai molto vicina la chiusura dei voli verso l’Europa e, prossima a una crisi di nervi, ho iniziato a telefonare a chiunque potesse aiutarmi a convincere chi di dovere a permettermi di tornare a casa. Finalmente durante la cena mi sono arrivati i biglietti aerei per la mattina successiva e l’Italia mi sembrava già un po’ più vicina, e ancora più prossima nel momento in cui sono finalmente salita sull’aereo che da San Paolo mi avrebbe portato a Roma. Quando sono partita da Rio de Janeiro la vita scorreva quasi nella normalità – mascherine poche, controlli nessuno – mentre una volta atterrata in Italia ho avuto la sensazione che quel volo mi avesse catapultata in un universo parallelo, fatto di aeroporti deserti, termo scanner, cerchi per terra dove collocarti in attesa e una voce dalle casse che continuava a ripetere di mantenere le distanze e ricordava l’obbligo di indossare la mascherina ed è in quell’istante che ho compreso veramente come la mia vita non sarebbe più stata la stessa e che si trattava proprio della mia vita, non di quella di una ragazza che raccontava la sua storia in tv.
Avevo immaginato diverse volte il mio rientro, mega cena con amici e parenti e non vedevo l’ora di riabbracciare, dopo mesi, i miei genitori. Oltretutto durante la notte del volo a mio padre è venuta la febbre e poco dopo anche a mia madre è successa la stessa cosa: panico. Io abito nell’appartamento contiguo al loro e mai dimenticherò quella sensazione: ero a pochi passi e non potevo fare niente, ero in quarantena, ma comunque non mi sarei mai presa il rischio di entrare in casa loro, portando magari con me il virus. La mia famiglia stava male, io ero li, ma ero inutile e penso che purtroppo molte persone abbiano provato questo stesso senso di frustrazione. La paura mi è rimasta, paura di fare qualcosa che possa mettere a rischio le persone alle quali voglio bene e che da mesi vivono quasi come se il lockdown non fosse finito, perché per loro, come peraltro per tutti in realtà, il Covid potrebbe essere più di un colpo di tosse. Questo è il motivo per il quale non riesco a rimanere indifferente a una persona che sul treno indossa la mascherina sul mento, perché non si sa se quel gesto superficiale potrà avere conseguenze per la vita della persona che sta seduta poco più in là, rispettando le norme e che ha il diritto di viaggiare nella massima sicurezza. Nella nostra società le parole e le immagini passano e ci impressionano alla stessa velocità con la quali tendiamo a dimenticarle. Cerchiamo di mantenere vivo il ricordo di quanto abbiamo passato, non per il timore di tornare a vivere, ma per ricordarci che la nostra vita, almeno per oggi, è cambiata e bisogna rispettare questo cambiamento, perché una leggerezza può stravolgere o distruggere una o più vite.
LA BOLLA di Valeria Papa ©️
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